Prendo spunto da un articolo appena letto su Corriere.it in cui si interpella anche una collega (Valeria Fragola) sugli usi e costumi dei doni di nozze nell’Italia contemporanea. L’articolo l’ho letto per dovere di cronaca e con un pizzico di curiosità.
Nel mio piccolo trovo che la lista nozze in ogni sua forma (dal viaggio, al corredo classico, alla lista d’arte o di libri) sia ancora la pratica più largamente diffusa. Eppure credo che in Italia l’abitudine della cosiddetta “busta” non sia mai tramontata. C’è chi la dona per pigrizia (o vanità), chi ci conta perché ha fatto i conti del matrimonio con troppa esuberanza, chi si trova a disagio quando la riceve, chi trattiene a stento la delusione se non la trova tra i regali. Ma la busta e i contanti sono da sempre una caratteristica propria dei matrimoni all’italiana.
Però quali che siano i desideri, le necessità e i costumi degli sposi, questi non dovrebbero mai infrangere le regole minime del buon costume. E qui, un commento della collega Fragola mi ha lasciato perplessa: “a volte, mi è anche capitato che qualche sposina mi abbia chiesto di poter inserire il codice IBAN direttamente sulla partecipazione: pratica che tento sempre di dissuadere, perché non mi sembra molto elegante”.
Prima di tutto non condivido la connotazione di stile data a un gesto che è invece oggettivamente maleducato perché manca di rispetto e sentimenti. Inserire nella partecipazione le indicazioni relative al regalo che ci si aspetta è una contraddizione in termini: state invitando qualcuno a prendere parte a un momento importantissimo della vostra vita perché si presuppone che ci teniate. Presentargli il conto in una forma impersonale è come ammettere che la sua presenza è per voi di nessuna importanza, al contrario del regalo, che volete scegliere voi e che date per scontato di ricevere.
Se ci tenete così poco, è lecito chiedersi, perché scomodarvi a invitare questa persona e pagarne il pranzo? Ma questa non è una questione di eleganza. La buona educazione non è un privilegio dell’aristocrazia e non andrebbe osservata per farsi belli. E’ una forma di rispetto nei confronti dei nostri simili, un insieme di norme comportamentali che ci aiuta a dimostrare agli altri il nostro rispetto e il nostro affetto.
Secondo, come wedding planner considero mio dovere mettere a disposizione dei miei clienti le mie conoscenze e la mia esperienza per evitare loro errori e situazioni imbarazzanti. Se mi chiederete di fare qualcosa che è maleducata, io vi dirò esplicitamente quello che penso e vi aiuterò a trovare un’alternativa che vi aiuti a raggiungere gli stessi obiettivi senza offendere nessuno. E farò di tutto perché seguiate il mio consiglio.
Qualche esempio di gesti maleducati, che neanche la frequenza con cui vengono compiuti può sdoganare?
– infilare i dettagli della lista nozze nella busta dell’invito. Vedi sopra;
– indirizzare la partecipazione o l’invito a un solo membro di un nucleo famigliare. Equivale a chiedergli di lasciare a casa la sua famiglia;
– non ringraziare formalmente (a parole o per iscritto) tutti quelli che sono intervenuti E quelli che hanno inviato un regalo;
– fare due feste, una di serie A, più ricca, con un centinaio di invitati (tra cui lontani cugini), l’altra con cibo di serie B e 200 invitati per fare baracca. La pratica della doppia festa è accettabile solo se una delle due è veramente ristretta a pochissimi intimi e se l’altra ha uno stile completamente diverso. Insomma, se è evidente che sarebbe stato impossibile far coinvivere i due gruppi di invitati nella stessa situazione;
– il bar a pagamento. Piuttosto non mettete il bar.
Perché per quanto le persone intorno a noi possano trattarci male e comportarsi come se non esistessero regole, è sempre nostro dovere contribuire a diffondere una cultura del buon costume, dare il buon esempio e trattare gli altri come vorremmo essere trattati noi stessi. Anche nel matrimonio.
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