Il post di oggi è stato in bozza per tanti mesi, riguarda un tema su cui mi metto spesso in discussione, e che può sembrare più per addetti ai lavori (colleghi e aspiranti). L’argomento è: in cosa consiste il servizio che offro. L’esigenza di pubblicarlo nasce dalla mia esperienza al matrimonio di sabato e da un dialogo occorso ieri in un forum, con una collega. Come al solito, spero che queste mie riflessioni siano utili sia a chi fa (o vorrebbe fare) questo lavoro, sia a chi si sta per sposare e si chiede cosa aspettarsi da me.
Ci sono alcuni luoghi comuni che ricorrono spesso quando si parla della professione che svolgo. Tanto per cominciare si fanno spesso lunghe discussioni sulla job description. Le differenze tra wedding planner, wedding designer, wedding coordinator e via di seguito, sono esplorate, elaborate e disquisite ormai in ogni dove. Io ho detto la mia anni fa e ora penso che la conversazione sia diventata abbastanza sterile.
In particolare trovo assurdi questi due assiomi:
1. il ruolo del wedding planner non è allestire, fare fiocchetti, montare la confettata, ecc.
2. un wedding planner è un professionista con uno stile preciso che deve realizzare un matrimonio perfetto e curato in ogni dettaglio.
Ho scelto questi due luoghi comuni perché sono per me intrinsecamente legati, entrambi infatti offrono una risposta apparentemente universale alla domanda fondamentale che sta dietro al mio lavoro: “che cosa vendo?”. Da un punto di vista strettamente imprenditoriale, secondo me ogni wedding planner (o wedding qualsiasi) dovrebbe trovare la propria risposta quando apre la propria attività e la risposta può essere molto diversa.
Ma come, mi direte, tutti vendono organizzazione di matrimonio! Sì e no, in effetti.
Vi faccio un esempio fuori contesto, per spiegarmi meglio. Pensate a due alberghi. Entrambi vendono servizi di ospitalità, è ovvio. Ma immaginate che uno abbia le finestre affacciate su Trinità dei monti a Roma, e l’altro sia appena fuori dall’aeroporto di Roma Fiumicino. È evidente che il primo vende un’esperienza di vita unica, l’altro la comodità di un’attesa confortevole. Mi seguite?
Io, quando ho aperto fatamadrina, ho deciso che avrei venduto un matrimonio dalla parte degli sposi, che tenesse conto dei loro desideri e che permettesse loro di godere senza stress di ogni momento. Un matrimonio alle loro condizioni, certo, ma anche in linea con i loro gusti. Per realizzare in pratica questo servizio, ho imparato che a volte è necessario anche che io prenda una scopa e rassetti personalmente una sala. O che mi ritrovi a comporre delle composizioni floreali, se le amiche della sposa hanno sottovalutato le difficoltà di un progetto fai-da-te. Occuparmi di queste due attività non fa di me né una sguattera né una fiorista, e le due attività non compariranno mai né in un mio preventivo, né in una mia presentazione. Ma se in fase di esecuzione del matrimonio è necessario che qualcuno si occupi di queste due cose affinché il risultato desiderato si avveri, ritengo sia mio dovere occuparmene. E attribuirmi il valore del lavoro fatto.
Fatemi divagare ancora un attimo per spiegarmi meglio. Quando lavoravo come assistente di direzione di un amministratore delegato nel settore moda, il mio ruolo era abbastanza importante, in quanto mi era stato richiesto di fargli a tutti gli effetti da filtro con il mondo esterno. Nella maggior parte della giornata, per chi lo cercava e incontrava me, io ero lui. Ascoltavo per conto suo, parlavo e agivo su suo mandato. Un ruolo di grande responsabilità. Ma non per questo mi ritenevo offesa se mi chiedeva di preparargli il caffè e portarglielo in riunione. Preparare il caffè non era nella mia job description ma era in certi casi necessario affinché il mio ruolo di assistente andasse a buon fine.
Nel mio modo di fare il lavoro di consulente wedding planner ci sono poche attività off limits per definizione (diciamo tutte quelle illegali e che non sono in grado di fare!), proprio perché vendo un servizio che si esplica come esperienza finale per gli sposi, e questo è ciò che quantifico ai miei clienti quando stilo un preventivo, non un elenco di cose che farò o non farò (anche se ovviamente il contratto prevede delle esclusioni).
Il fatto stesso poi di vendere un’esperienza ha come conseguenza che il contenuto stilistico della stessa sia ben poco legato a ciò che piace a me, o alla tensione verso un risultato ‘perfetto’ (nel senso di senza difetti o curato come il servizio di una rivista). Io vi garantisco un matrimonio a vostra immagine e somiglianza, quindi diverso da ogni altro, e ritagliato sui vostri gusti, le vostre esigenze e le vostre personalità. Non sono una wedding designer, quindi la mia massima aspirazione è che vedendo il matrimonio i vostri ospiti pensino: “wow! È proprio il matrimonio di x e y!” non “oh, questo è chiaramente un matrimonio di fatamadrina”. Anche se mi chiederete di progettare qualcosa per voi, lo farò sempre con l’approccio del servizio di cui vi parlavo prima, quindi dando centralità a voi, non al mio gusto.
Lasciate che io sia chiara: non sto mica dicendo che tutti i wedding planner dovrebbero essere come me, offrire il servizio che offro io. È esattamente il contrario. Vi sto raccontando quello che ho deciso di fare io (e che chiamo, appunto, essere dalla parte degli sposi) perché è ciò che a me risulta più congeniale, ciò per cui sono più preparata, in breve, il tipo di servizio in cui posso offrirvi di più.
Ecco, però reclamo il diritto di poterlo fare. Di potere decidere il servizio da offrire per valorizzare al massimo le mie competenze (quindi offrirvi il servizio migliore). Se dovessi uniformarmi all’ideale professionale di altri, sabato scorso non ci sarebbe stato un allestimento, al matrimonio che ho coordinato. Se dovessi prendermela quando non fate vostra una delle mie proposte decorative, non avreste la possibilità di dare vita al vostro stile nel miglior modo possibile. Insomma, non sarei fatamadrina.