Ieri sera su Twitter è scattato un piccolo scandalo perché ho ammesso che da un po’ di tempo, a chi in privato mi chiede consigli su come diventare wedding planner e non ha esperienze consolidate in materia, rispondo “lascia perdere”.
Mi hanno chiesto se avevo avuto una brutta giornata (come se su certe cose io parlassi sull’onda dell’umore e non cercando di dare informazioni accurate, oneste e soprattutto ponderate).
Mi è stato ribattuto che passione e determinazione sono ottime ragioni per provarci, che tanto nel giro di qualche anno si crea scrematura e l’abbondanza di offerta (a fronte di una richiesta bassissima) che c’è ora sul mercato si ridimensiona.
Tutto vero. In minima parte.
Se mi chiedete consigli su come intraprendere una professione di questi tempi io vi rispondo onestamente. E la risposta onesta è che in questo momento avviare una professione di organizzazione matrimoni non conviene per motivi di ordine strettamente macro e micro-economico. Non importa quanto brave e piene di voglia di fare siate, se non avete i soldi per fare i (seppur minimi) investimenti iniziali richiesti per l’avviamento e per compensare il mancato reddito in fase di avviamento (dai 3 ai 5 anni, fate due conti) non ha senso che cominciate.
Dirvi il contrario sarebbe scorretto e farebbe di me una pessima professionista, perché se non ho la lucidità di analizzare il mio mercato e il coraggio di essere onesta, come potrò dare un buon servizio alle mie coppie?!
Vediamo di decontestualizzare, così forse ci capiamo meglio.
Se una sposa viene da me, chiedendomi una location tipo loft per 200 invitati qui a Modena (non esiste, esistono cose analoghe/simili ma a prezzi proibitivi) e io le rispondo “ma certo, dài, adesso ci metto tutta me stessa a trovartela, e provo anche a scroccare un prezzo di favore”, sto solo cercando di convincerla a firmare con me, dandole false speranze, tanto poi sono sempre in tempo a dirle “peccato, non ce l’ho fatta”. Proprio come i colleghi che vi offrono corsi di formazione e che hanno tutto l’interesse a mantenere vivi i vostri sogni, anche per convincervi a iscrivervi al corso.
A questo va poi aggiunto che (e scusatemi se mi ripeto) fare la wedding planner è un lavoro.
Non è un hobby dove quello che conta è che vi piaccia farlo.
Non è uno sport dove quello che conta è partecipare.
È un lavoro. Se non vi paga uno stipendio, non ha senso.
Altro esempio basico. Facciamo finta che siate un ingegnere meccanico e abbiate inventato un componente per la meccanica delle automobili a benzina. Un componente geniale e d’avanguardia. Ci credete tantissimo. Anche così, non troverete nessuno che vi finanzi l’impresa. Perché, semplicemente, l’automotive è un mercato in crisi.
Il mercato dei matrimoni in Italia in questo momento è definito da questi elementi:
– ancora scarsissima comprensione della professione di wedding planner;
– decine e decine di nuove wedding planner che si affacciano al mercato ogni anno;
– sempre meno coppie che si sposano;
– calo complessivo del potere d’acquisto delle famiglie;
– calo ancora più rilevante della fiducia delle famiglie (quell’elemento che fa sì che uno spenda i soldi che ha, fiducioso di averli anche domani, invece che tenerseli in banca). Senza la fiducia, anche chi avrebbe i soldi per organizzare un matrimonio di un certo tipo, sceglie di tagliare quanto più possibile sulle spese, anche in maniera non razionale.
Con che faccia potrei dirvi “ma sì, se ti impegni ce la farai sicuramente”?